Compensazione illegittima: è non spettante la compensazione di crediti d’imposta utilizzati per pagare acconti IVA “non dovuti”

In tema di crediti di natura agevolativa, la recentissima pronuncia della Cassazione n. 26273 del 27 settembre 2025 sulla compensazione con un debito a titolo di acconto IVA, dando seguito ad un precedente già segnato dalla Suprema Corte nel 2017, ha sancito che la compensazione del credito d’imposta – nella fattispecie specifica si trattava di un bonus per aree svantaggiate – è ammessa per pagare imposte effettivamente dovute, mentre rimane esclusa dal perimetro del saldo per versare anticipazioni ed acconti che risultino irrelati da qualsiasi debito fiscale non realmente maturato.

Un simile orientamento esplica naturalmente effetti decisivi al momento della compensazione di un credito “in scadenza” con gli acconti d’imposta eccedenti che siano calcolati attraverso il metodo c.d. previsionale. Il metodo previsionale di determinazione dell’acconto IVA previsto all’art. 6, comma 2, della L. n. 405/190, infatti, figura quale alternativa al metodo storico di calcolo dell’acconto IVA. Benché sia decisamente più rischioso, esso permette comunque di adeguare il calcolo dell’acconto Iva a quello che si presume possa essere il fatturato del mese o trimestre di riferimento, evitando così di calcolare e versare importi “storici” che risulterebbero eccessivi. Al riguardo, difatti, già l’Agenzia delle Entrate aveva riconosciuto la possibilità di versare un acconto più elevato rispetto a quanto sarebbe dovuto col metodo storico per compensare crediti di imposta in scadenza, mentre la Corte di cassazione si era parimenti espressa sulla necessità che la determinazione del debito tributario mediante adozione del metodo previsionale fosse da  effettuarsi in base alla concreta situazione economica del contribuente per evitare costruzioni immaginarie dei debiti.

L’ultima progressione è stata compiuta con la prefata pronuncia n. 26273, con la quale la Suprema Corte ha specificato che, laddove il credito d’imposta venga utilizzato per pagare acconti, nella specie, IVA, “non dovuti” la compensazione è illegittima ma rientra nel genus delle compensazioni non spettanti, e non dunque in quello delle compensazioni di crediti inesistenti. Ne consegue, pertanto, che l’avviso di recupero non potrà essere notificato nel maggior termine degli otto anni dall’avvenuta compensazione, mentre la sanzione applicata sarà quella prevista per l’indebita compensazione di credito non spettante nella misura del 25% ex art. 13 comma 4 del D.Lgs. 471/1997.

La conclusione cui è pervenuta la Corte appare dunque del tutto coerente con l’applicazione del metodo previsionale basato sulla reale situazione economica del contribuente, il quale ha il dovere di dimostrare la ragionevole sostenibilità di quanto previsto, al fine di evitare che i debiti fiscali che abbiano costituito il parametro di determinazione dell’acconto IVA eccedente non risultino falsati o distorti. Pertanto, la ratio di una simile pronuncia coincide col fine ultimo di individuare correttamente il debito da estinguere nel suo complessivo ammontare.

Il Team Noverim Legal STA
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