Conti cointestati e fisco: il contribuente resta solo davanti alla prova

Anche in presenza di conti cointestati, l’Agenzia delle Entrate può presumere ricavi non dichiarati. La Cassazione ribadisce: la prova analitica spetta al contribuente, operazione per operazione.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19159/2025, conferma una posizione ormai consolidata in materia di accertamenti bancari: quando l’Amministrazione Finanziaria rileva movimentazioni sospette su un conto corrente, anche se cointestato, l’onere della prova incombe interamente sul contribuente.

L’analisi prende le mosse dagli articoli 32 del DPR 600/1973 e 51 del DPR 633/1972. Tali norme attribuiscono agli uffici fiscali il potere di presumere che i versamenti sui conti rappresentino ricavi non dichiarati e che i prelievi costituiscano costi non deducibili. Si tratta di una presunzione legale relativa, e non semplice, che non richiede requisiti di gravità, precisione e concordanza, come invece accade per le presunzioni ordinarie.

L’effetto pratico di questo impianto normativo è chiaro: non è sufficiente addurre motivazioni generiche per respingere le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate. La difesa del contribuente deve articolarsi attraverso una prova analitica, documentata e riferita puntualmente a ciascuna operazione bancaria contestata.

La giurisprudenza ha chiarito che tale obbligo probatorio si estende anche in presenza di conti cointestati. Infatti, la mera intestazione condivisa – ad esempio con il coniuge – non costituisce, di per sé, una prova idonea a escludere la riferibilità delle somme al soggetto verificato. Neppure possono considerarsi risolutive l’assenza di un’attività economica da parte del cointestatario, la natura familiare del conto o la presunta destinazione delle somme a spese private.

Il contribuente deve dunque fornire, per ciascuna movimentazione, una giustificazione dettagliata, supportata da documentazione concreta che dimostri la natura extrafiscale delle entrate o dei prelievi. In assenza di tali elementi, la presunzione dell’Amministrazione si considera valida.

È importante notare che, secondo la Suprema Corte, anche il giudice di merito deve attenersi rigorosamente a questi criteri. Non può superare la presunzione legale attraverso valutazioni generiche, come la modesta entità delle somme, la dimensione ridotta dell’impresa o l’assenza di dipendenti. Questi argomenti, se non supportati da prova concreta e specifica, non sono sufficienti a ribaltare l’onere della prova.

L’ordinanza si allinea ad altre recenti pronunce – tra cui si segnalano Cass. n. 11169/2024 e Cass. n. 22047/2023 – che ribadiscono l’importanza della tracciabilità e della giustificazione delle operazioni bancarie nel sistema degli accertamenti.

Questo orientamento ha riflessi rilevanti per tutti i contribuenti, ma soprattutto per chi utilizza conti familiari o personali anche nell’ambito di attività economiche. La gestione separata tra sfera privata e professionale diventa dunque essenziale, così come l’archiviazione ordinata di documenti giustificativi.

In definitiva, la Cassazione consolida un principio chiave in ambito tributario: la cointestazione del conto non costituisce scudo fiscale. La presunzione dell’Agenzia delle Entrate resta ferma, e il contribuente deve difendersi con precisione, caso per caso. La responsabilità probatoria è sua e il fisco non è tenuto a dimostrare nulla di più oltre i dati bancari. Una regola che rafforza l’efficacia degli accertamenti e impone maggiore diligenza nella gestione dei propri movimenti finanziari.

Il Team Noverim Legal STA
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