IVA e società di comodo: il credito spettante resta bloccato senza intervento del legislatore
Le pronunce della Cassazione confermano l’illegittimità delle limitazioni alla detrazione, ma l’utilizzo dei crediti resta incerto. La normativa nazionale è in contrasto con la direttiva IVA 2006/112/CE.
- Novembre 5, 2025
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La disciplina italiana sulle società non operative, prevista dall’art. 30 della L. 724/1994, continua a sollevare rilevanti criticità, in particolare per quanto riguarda la gestione del credito IVA. Nonostante le recenti aperture giurisprudenziali, che hanno confermato l’incompatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione Europea, il quadro operativo resta bloccato in assenza di un necessario intervento legislativo.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 2024 nella causa C-341/22, ha stabilito che le disposizioni italiane che negano il diritto alla detrazione dell’IVA a soggetti qualificati come “di comodo”, per effetto di un criterio presuntivo basato su soglie patrimoniali, violano i principi fondamentali della direttiva 2006/112/CE, in particolare gli artt. 9 e 167. Secondo la Corte, il solo fatto che una società realizzi ricavi inferiori a determinati parametri non può giustificare la negazione della qualifica di soggetto passivo IVA, né impedire il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti.
In recepimento di questa impostazione, la Corte di Cassazione – da ultimo con le sentenze n. 27038 e n. 25705 del 2025 – ha disapplicato la normativa interna nella parte in cui impedisce l’utilizzo del credito IVA da parte delle società non operative. I giudici hanno chiarito che il diritto alla detrazione può essere escluso solo in presenza di un accertamento puntuale che dimostri l’assenza di un’effettiva attività economica, oppure se emerge un disegno elusivo, un risparmio d’imposta indebito o un difetto di inerenza ai sensi dell’art. 19 del DPR 633/1972.
Tuttavia, la disapplicazione giurisprudenziale non risolve il nodo centrale: in assenza di una norma che disciplini espressamente le modalità di utilizzo del credito IVA maturato dalle società interessate, i contribuenti restano privi di strumenti operativi per far valere i propri diritti. L’art. 30, comma 4, della L. 724/1994 continua infatti a precludere, nei fatti, il rimborso, la compensazione o la cessione del credito IVA per i soggetti classificati come non operativi, anche se questi abbiano effettivamente svolto un’attività economica.
Assonime, con la circolare n. 6/2025, ha sollecitato un intervento normativo chiarificatore, rilevando come la mancanza di una soluzione concreta ostacoli la certezza del diritto e penalizzi ingiustamente i soggetti che, pur operando in un quadro economico sfavorevole, generano un credito IVA legittimamente spettante. Anche il Ministero dell’Economia, nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-03950/2025, ha riconosciuto che non è possibile fornire risposte operative fino a quando non sarà completata la revisione dell’intero impianto normativo sulle società di comodo.
La Cassazione, in numerose pronunce (ad esempio la n. 24442/2024 e la n. 7813/2025), ha inoltre affermato che l’approccio presuntivo previsto dalla legge italiana non può sostituire un accertamento individuale. In linea con la giurisprudenza europea, il diritto alla detrazione dell’IVA deve essere riconosciuto quando il contribuente dimostri di avere svolto, in modo concreto e documentato, un’attività economica nel periodo d’imposta di riferimento.
Il principio vale anche per le società in perdita sistematica, che l’art. 2, commi 36-decies e 36-undecies del DL 138/2011 equipara a quelle di comodo. In questi casi, la Corte ha confermato che la valutazione deve avvenire caso per caso, e che l’equiparazione automatica viola il principio di proporzionalità previsto dal diritto unionale.
La situazione si complica ulteriormente per i crediti maturati in annualità precedenti, specie se anteriori all’entrata in vigore della direttiva 2006/112/CE. Tuttavia, la Corte ha chiarito che l’art. 9 di tale direttiva corrisponde all’art. 4 della precedente direttiva 77/388/CEE, e che i principi espressi sono applicabili retroattivamente, in quanto espressione dei pilastri fondamentali del sistema IVA, come la neutralità e la proporzionalità (Cass. n. 14167/2025).
In conclusione, l’orientamento della Cassazione risulta oggi perfettamente allineato ai principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Resta però irrisolta la questione pratica più rilevante: l’impossibilità, per i soggetti interessati, di accedere al credito IVA riconosciuto giuridicamente, ma ancora negato nei fatti. In assenza di una riforma legislativa, i contribuenti restano esposti a un vuoto normativo che mina l’effettività dei loro diritti, con gravi ricadute in termini di certezza del diritto e neutralità dell’imposta.
Il Team Noverim Legal STA
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